Frutta e verdura imballate in vaschette di polistirolo, salumi e fette di formaggio confezionate singolarmente utilizzando il film plastico, e si potrebbe continuare così ancora a lungo. E non va meglio quando si parla di prodotti biologici. In base alla normativa europea, infatti, i prodotti biologici devono essere etichettati in maniera speciale, di modo tale che i consumatori possano distinguerli da quelli tradizionali. E ciò si traduce spesso nel fatto che i clienti che cercano di essere più ecologici acquistando prodotti biologici, finiscono anche per comprare merci avvolte in plastica aggiuntiva. Insomma, una grande quantità di imballaggi di plastica passa attraverso i nostri carrelli della spesa.

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L’utilizzo di imballaggi plastici è cresciuto del 40% negli ultimi anni, con effetti deleteri sull’ambiente.

A fronte del cambiamento degli stili di vita e delle abitudini di consumo, della crescita del numero di persone che mangia abitualmente fuori casa, e della richiesta in costante aumento di alimenti e bevande confezionate comode e convenienti, negli ultimi anni si sta assistendo ad un aumento vertiginoso nella quantità di imballaggi utilizzati per offrire ai consumatori cibi già preparati o in porzioni pre-confezionate (+40% nel solo decennio 2004-2014). E se da un lato questi svolgono l’utile funzione di proteggere i prodotti e prolungarne la cosiddetta shelf-life (la vita utile a scaffale), il rovescio della medaglia è che migliaia e migliaia di imballaggi plastici vengono gettati via, trasformandosi in rifiuti dopo un utilizzo di soli pochi minuti.

Non è un caso che l’edizione 2018 della Giornata Mondiale dell’Ambiente, celebrata lo scorso 5 giugno, sia stata dedicata proprio all’inquinamento da plastica. Attraverso lo slogan #BeatPlasticPollution si è infatti voluta attirare l’attenzione del grande pubblico sulla necessità di dire basta all’uso (che spesso diventa abuso) della plastica.

Anche nel comparto del packaging dei prodotti alimentari qualcosa sta finalmente cambiando, con lo studio e la commercializzazione di nuove tipologie di imballaggio, totalmente plastic-free, biodegradabili e commestibili, realizzate proprio a partire dagli scarti di differenti lavorazioni alimentari. Scopriamole assieme.

Plastica dalle proteine del latte   

L’azienda francese Lactips ha sviluppato una plastica edibile a partire dalla caseina, una proteina contenuta nel latte. Questa bioplastica è stampabile, è in grado di preservare la freschezza dei prodotti ed è solubile sia in acqua calda che fredda. Si biodegrada in 18 giorni, e può essere compostata anche a casa. Il progetto ha ricevuto un finanziamento di 1.5 milioni di euro dalla UE attraverso il programma di ricerca e innovazione Horizon 2020.

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La bioplastica derivata dalle proteine del latte (ph. Lactips).

Packaging dalla fermentazione della kombucha

La designer polacca Roza Janusz ha messo a punto un packaging biologico, commestibile e completamente riciclabile che può essere prodotto direttamente da contadini e agricoltori per imballare i propri prodotti. Scoby nasce infatti attraverso un processo low-tech che consiste nell’aggiunta di zucchero e altre sostanze organiche alla kombucha, la bevanda fermentata a base di the originaria della Cina. Il materiale – una sorta di cellulosa – cresce ed è pronto per l’utilizzo in circa due settimane. Ha un leggero gusto di kombucha se mangiato da solo, ma se cucinato assieme al suo contenuto, assorbe il sapore di quest’ultimo. Può essere utilizzato per imballare semi, erbe o anche pranzi al sacco: essendo prodotto tramite fermentazione, ha una shelf-life piuttosto lunga.

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Il packaging “fermentato” ottenuto a partire dalla kombucha (ph. Roza Janusz).

Bottiglie d’acqua commestibili da piante e alghe

La startup londinese Skipping Rocks Lab ha creato un packaging flessibile derivato da piante e alghe, che mira a sostituire le bottiglie d’acqua. Il materiale è più economico della plastica, genera un quinto delle emissioni di CO2 e richiede un nono dell’energia necessaria per produrre il PET, e inoltre è completamente biodegradabile in 4-6 settimane (periodo di tempo comparabile a quello necessario per la biodegradazione di un frutto). Ohoo! – questo il nome della bioplastica – ha una durata a scaffale di qualche giorno (il che vuol dire che deve essere consumata in fretta, come qualsiasi altro prodotto fresco), è commestibile e può essere colorata ed aromatizzata. La startup è parte del programma di accelerazione Climate KIC, fondato dall’Istituto Europeo per l’Innovazione e la Tecnologia (EIT).

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Ohoo!, la bottiglia commestibile (ph. Twitter).

Film bioplastico dal carapace dei crostacei

La startup scozzese CuanTec estrae una molecola non commestibile, la chitina, dal carapace dei crostacei (che generalmente viene gettato via), e la trasforma in un film biodegradabile e flessibile. La chitina è il secondo biopolimero più abbondante in natura, e possiede proprietà antimicrobiche che fanno sì che il biofilm possa potenzialmente ridurre, in futuro, la necessità di aggiungere conservanti al cibo.

Etichette laser

In questo caso, il packaging viene “stampato” sul prodotto stesso. La compagnia spagnola Laser Food utilizza infatti la stampa laser per imprimere logo e altre informazioni direttamente sulla buccia di frutta e verdura, eliminando il bisogno di utilizzare le tradizionali etichette plastiche. Il sistema opera una depigmentazione superficiale della buccia degli alimenti, che non causa né la rovina della polpa dell’alimento, né contaminazioni di tipo batterico. L’energia necessaria per imprimere le informazioni sul prodotto utilizzando il laser equivale a circa l’1% di quella necessaria per produrre un’etichetta adesiva. Si stima inoltre che, eliminando le etichette, si potrebbero evitare tonnellate di rifiuti plastici difficilmente o non riciclabili. La tecnologia è già utilizzata da alcuni produttori olandesi.

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Etichette laster stampate direttamente sui prodotti per ridurre gli imballi (ph. Laser Food).

Studi recenti evidenziano come, a causa dell’inquinamento da plastica, ognuno di noi consuma regolarmente molecole plastiche assieme al cibo che mangia. Forse quindi è proprio giunto il momento di dire basta, riducendo drasticamente gli imballaggi plastici e concentrandosi su queste alternative plastic-free. Migliori per noi e anche per l’ambiente, costituiscono di sicuro un primo passo nella giusta direzione.

Alessandra Varotto