Capita, a volte, di dover tornare al passato per costruire un futuro più sostenibile. E’ il caso del vuoto a rendere,  una pratica che in Italia rimanda a tempi lontani, prima del boom economico e della prepotente introduzione della plastica, quando i negozi ritiravano dopo l’uso i contenitori dei prodotti precedentemente venduti.

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A seguito di esempi di successo nel resto d’Europa, negli ultimi anni la reintroduzione della pratica del vuoto a rendere è tornata a farsi largo, seppur lentamente e a fatica, anche nel nostro Paese. Dopo un lungo dibattito che ha sollevato spinose domande intorno agli interessi generati dal mercato degli imballaggi e dell’usa e getta, lo scorso dicembre il Collegato ambientale diventato legge ha finalmente decretato l’inizio di un percorso nel senso della riduzione dei rifiuti attraverso il riutilizzo dei contenitori usati.

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Per dodici mesi, su base volontaria e in via sperimentale, gli esercenti di bar e pubblici esercizi possono scegliere di applicare il vuoto a rendere su cauzione per gli imballaggi contenenti birra e acqua minerale, anche in plastica.

Al termine della fase sperimentale, a partire dai risultati si valuterà se confermare e se estendere il sistema del vuoto a rendere ad altre categorie di prodotto e ad altre tipologie di consumo. Minimo comune denominatore: un incentivo economico che si traduce in un piccolo pagamento o, come accade in alcuni supermercati, nella cessione di un buono sconto o di un bonus sulla spesa.

Proprio in questo ambito vale la pena citare, a titolo di esempio, la consolidata esperienza tedesca, che da anni prevede di riportare la bottiglia vuota in un qualsiasi negozio alimentare: qui è presente un’apparecchiatura che ne legge il codice e consegna in cambio uno scontrino con il valore di ogni involucro, successivamente scontato alla cassa.

In attesa degli esiti italiani, è pur vero che l’estensione di una consuetudine del genere e la sua declinazione in multiple forme adattabili ai vari settori non può che dare dei benefici dal punto di vista della sostenibilità. Si alleggeriscono pattumiere e discariche, si previene la trasformazione dell’oggetto in rifiuto e se ne preserva il valore.

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Ma non è tutto: il vuoto a rendere fa sì che i contenitori non debbano essere sottoposti a differenziazione, ma a un procedimento di sterilizzazione che richiede il 60% di energia in meno rispetto a quella necessaria alla creazione di un nuovo imballaggio. Cosa non da poco, considerato che problemi come il riscaldamento globale e il deterioramento delle risorse devono la loro urgenza a un sistema energivoro capace di accelerarne drasticamente gli effetti.

E se il concetto di vuoto a rendere non è una novità, non resta che tornare alle vecchie abitudini, peraltro mai veramente (o non del tutto) abbandonate all’interno delle mura domestiche: chi non ha mai messo da parte vasetti e contenitori di vetro per poterli riutilizzare nella conservazione di cibi e spezie, o per destinarli agli scopi più creativi e disparati?

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Promuovere la pratica ad abitudine fuori e dentro casa non può che rivelarsi una scelta vincente, capace di far bene da un lato a un ambiente che chiede aiuto, dall’altro a un portafoglio che ha conosciuto tempi migliori. Come? Prendere parte all’ottava edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, in programma dal 19 al 27 novembre 2016 e dedicata proprio alla riduzione dei rifiuti da imballaggio, può essere un buon inizio. Le iscrizioni sono aperte, partecipate numerosi!

logo-quadrato-con-claim-trasparente-e1413477569439 Valentina Tibaldi